MEDITIAMO CON P. ANGELO GATTO, OCD
DOMENICA DOPO NATALE: FESTA DELLA SANTA FAMIGLIA
I Sam I, 20-22.24-28
I Gv 3,1-2.21-24
Lc 2,41-52
La storia delle due famiglie, ricordate nelle letture di
questa Domenica, dopo Natale, dedicata alla Santa Famiglia Nazareth, è
imperniata tutta sulla esigenza di appartenere al Signore, perché i figli e le
stesse famiglie sono del Signore. Sono
sua opera. Le famiglie debbono essere tutte del Signore, perché i figli che le
mamme hanno dato alla luce sono dono di Dio. Esse sono: quella di Elkana e
Anna, madre di Samuele, i quali salgono al tempio di Silo per offrire il
figlioletto e quella di Giuseppe e Maria, i quali salgono a Gerusalemme, con
Gesù dodicenne per celebrare la Pasqua. Ambedue hanno ricevuto un figlio
invocato, atteso, che considerano dono di Dio: la prima sale per offrirlo e consacrarlo
per sempre al Signore, la seconda sale per riprendere il figlio smarrito e riportarlo
in famiglia, sottomesso nell’amore. Queste due famiglie sono tutte due
coinvolte in una vocazione e missione di salvezza a causa dei loro figli, dono
imprevisto di Dio. Ma è proprio In
queste due famiglie che sono chiamate a rispecchiarsi tutte le famiglie del
mondo sia come “unione stabile d’amore e di vita di un uomo e di una donna”,
sia come “piccole chiese domestiche” che trovano la loro identità in quanto
opere belle della Trinità, sia come “cellule della società” per la trasmissione
della vita e di relazioni interpersonali, sociali e affettive sane. Si capisce perché il Papa Francesco abbia
voluto dedicarvi due Sinodi nel giro di un anno: il primo, straordinario, sulle
sfide della famiglia oggi; l’altro, ordinario, sulla missione e vocazione della
famiglia nel mondo di oggi. Tutti e due i Sinodi hanno concluso le relazioni
invitando tutte le famiglie del mondo a guardare, contemplare e invocare la
Santa Famiglia di Nazareth.
Le letture di questa Domenica risentono della gioiosa
liturgia delle tre messe di Natale. Ne rievocano la luce e lo stupore, ma in
ben altro contesto. Non in quello del presepio, ma in quello della famiglia.
Esse ci permettono quindi di continuare a contemplare e ad approfondire il
mistero celebrato e di vederlo in chiave umana e cioè immerso nella vita
quotidiana di una famiglia. Nella famiglia l’amore si concretizza nella
fedeltà, nella obbedienza e nel dolore. Se, a Natale, l’Amore di Dio ci ha
ammaliati con la povertà della mangiatoia, oggi ci attira con lo stupore della sottomissione
all’amore di Gesù, Maria e Giuseppe, dentro la loro famiglia. Il troppo grande
Amore del Signore, per rendersi visibile, ha scelto di riflettersi nella
famiglia di Nazareth. “E’ apparsa la benignità del nostro Salvatore” e il luogo
della sua rivelazione sono le relazioni umane di una famiglia, che si sostanziano
di gratuità e di appartenenza a Dio. Relazioni
che sono sempre arroventate d’amore, anche quando sembrano velate dalla non
comprensione e dall’angoscia.
Il racconto della prima lettura, tolta dal I libro di Samuele ci rivela come si
forma una famiglia umana, quale opera di Dio. Anna confessa e riconosce di aver ottenuto il
figlio Samuele come dono da Dio. E come tale non le appartiene. Per questo la sua
famiglia dipende da Dio. Oggi si reclama il diritto al figlio e si è perduto lo
stupore di accoglierlo sempre come dono. La famiglia, vista nell’ottica di fede,
va guardata con lo stesso stupore con cui si debbono contemplare le opere della
creazione e le meraviglie della storia. Solo le opere di Dio e della sua
misericordia ci fanno vedere e cantare le sue meraviglie. Ed è proprio la
famiglia umana che rivela il vero volto di Dio, il volto della bellezza, della
felicità e della misericordia. Lo stile di vita di Dio è stare con figli
dell’uomo e parlare loro come un amico parla ad un amico. La sua gioia è dilettarsi
con loro e donare la sua gloria. In queste relazioni divine affondano le radici
della famiglia cristiana.
Anna, la madre di Samuele, ci racconta la I° lettura, sente
che la gratitudine verso il Signore deve prevalere sul suo diritto di tenersi
il figlio. Quindi non vuole salire al tempio prima che sia compiuto lo
svezzamento del piccolo. Samuele è il figlio del pianto e della promessa. Lei
stessa deve portarlo al tempio e soddisfare il voto. E quando vi arriva vi sacrifica il giovenco
che le darebbe il diritto forse di riscattarlo e di riportarselo a casa. Invece
lo lascia nel tempio perché sia consacrato e serva il Signore. Tutto ciò che
invochiamo e desideriamo dal Signore diventa dono e deve suscitare in noi un
vero senso di gratitudine. Non può non farci riflettere il senso sacerdotale di
questa mamma che offre al Signore il figlio perché gli appartenga.
Lo stesso senso di appartenenza al Signore, ci dice san Luca
nel vangelo, anima anche il viaggio di Maria e Giuseppe che salgono con Gesù
dodicenne verso il tempio di Gerusalemme per la pasqua. Il richiamo della
pasqua ci può aiutare a comprendere il senso dello smarrimento. La perdita del
figlio è angoscia per i genitori: “Figlio mio perché ci hai fatto questo? Ecco
tuo padre e io angosciati ci cercavamo”. La famiglia di Nazareth è ferita; i
genitori distrutti. Ma se si guardano le
cose con concretezza questa brutta disavventura fa diventare la famiglia di
Nazareth una famiglia reale, coinvolta in una storia dolorosa, ma sempre
inserita nella storia della salvezza. E tutto questo può dare alle famiglie
cristiane un senso di speranza e di lungimiranza in tante circostanze della
loro vita. Le parole di Gesù, che i genitori non capiscono, rivelano la sua nuova
relazione che lo rende non solo figlio di Maria, custodito da san Giuseppe, ma soprattutto
figlio del Padre. Gesù ha e vive una
relazione speciale con il Padre. “Non sapevate che io debbo attendere alle cose
del Padre mio?”, Più propriamente: “Non sapevate che io debbo dimorare nella
casa del Padre?”. Emotivamente noi siamo tentati di mettere l’angoscia di Maria
e Giuseppe al centro di questo mistero e il suo ritorno quale motivo della ritrovata
gioia famigliare. Ma non è così. E’ la persona di Gesù, sono le sue parole che
svelano il messaggio del Vangelo. Sono la sua appartenenza e la sua relazione con
il Padre che debbono essere considerate il nucleo del mistero del Natale
stesso. Le parole di Gesù sono rivelatrici non solo della sua origine divina,
ma anche e soprattutto della sua missione. Lui è venuto a comunicarci
l’appartenenza a una nuova famiglia, quella del Padre. La sua figliolanza unica cambia la fisionomia
della sua famiglia, a cui tutti sono tenuti ad appartenere anche Maria e
Giuseppe. “Carissimi ecco quale grande amore ci ha ci ha dato il Padre per
essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente. Carissimi fin da ora siamo figli”.
Così San Giovanni, nella II° lettura canta contemporaneamente la incarnazione
del Figlio e la divinizzazione di coloro che per questo dono sono chiamati a
partecipare alla divina natura.
Si spiega allora perché Gesù torna a Nazareth sottomesso. E’
sottomesso al Padre, è sottomesso a Maria e a Giuseppe. E’ un figlio
sottomesso. Si sottomette per crescere in sapienza, età e grazia, davanti a Dio
e davanti agli uomini. La Famiglia di Nazareth diventa il prototipo e l’icona di
tutte le famiglie dove si accetta di appartenere al Signore, dove tutto diventa
dono, incominciando dai figli, dove il Padre del cielo ci rende tutti sottomessi
all’amore. Ma il fatto che ritorni sottomesso e cresca in sapienza, età e
grazia ci dà pure la dimensione completa del mistero contemplato. Nazareth è una
famiglia tutta del Signore, veramente umana e sottomessa alla legge dell’agape.
Questa è la Famiglia di Nazareth a cui ogni famiglia deve fare riferimento per
conoscersi e per assumerne lo stile di vita. Così il beato Paolo VI esortava le famiglie di tutto il mondo: “Qui, a
questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale,
se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo.
Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e
sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare,
vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore
sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è
necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la
mai compiuta formazione all'intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo
questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti
dalla casa di Nazareth. “In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se
rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile
dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci
clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di
Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita
interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni
dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di
preparazione, lo studio, la meditazione, l'interiorità della vita, la
preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
(p.
Angelo Gatto)