sabato 7 gennaio 2017

La Regola per vivere l'intimità con Dio


Tra le varie icone del Carmelo ce ne sono due molto simili, entrambe emblematiche: Il Patriarca Alberto di Gerusalemme che dona la Regola a fratel Brocardo, primo priore dei carmelitani, e Maria che dona lo Scapolare a Simone Stock.  Il senso del dono, della protezione, dell’appartenenza emergono dalle due immagini a noi care.
Fermiamoci però alla prima: e cominciamo un viaggio nelle nostre origini: un Vescovo che porge al capogruppo di eremiti, i fratelli della Madonna del Monte Carmelo, una regola di vita. Breve, essenziale, intrisa della parola di Dio, palpitante della testimonianza di quella Terra Santa calpestata dai passi del profeta Elia, di Maria, di Gesù, dei suoi primi testimoni, fra cui San Paolo. Una regola che da un lato riconosce in quel gruppo un carisma che è parte della Chiesa universale: vivere alla presenza di Dio, come il profeta Elia, meditare nel cuore la Parola del Signore, come Maria, vivere come fratelli nella fede, come i primi discepoli.
I carmelitani si erano stabiliti sul promontorio rigoglioso del Carmelo, nella Valle del Pellegrino (Wadi’ain es Siah) desiderosi di vivere la propria fede e ricerca del Volto di Dio. La ricerca del silenzio non era un chiudersi in se stessi e proprio per questo Brocardo chiese aiuto al Patriarca di Gerusalemme per dare una disciplina a quello stile di vita che avevano intrapreso. Il Patriarca redasse la Formula vitae (probabilmente nel 1214) che nel 1247 fu approvata da papa Innocenzo IV e fu denominata Regola. In realtà il testo originario non si è più trovato. Ma può essere considerata la più vicina alla formula originale la norma approvata dal papa.
Ancora oggi la “Regola di Sant’Alberto” è il cardine della legislazione carmelitana e precede le costituzioni di frati, monache e laici. Ma non bisogna guardarla come a qualcosa di antico e bisogna andare oltre l’interpretazione letterale che vorrebbe  relegarla a un antico modo di vivere la fede e il carisma carmelitano.
Come ben spiega p. Antonio Maria Sicari la nostra Regola costruisce “nella maniera più semplice, un discorso strutturato e normativo sul «grande e universale comandamento» che chiede alla creatura la massima intimità, possibile su questa terra, col suo Dio”.
Vivere l’intimità con Dio. E’ questo il filo conduttore della Regola, quand’afferma che occorre “vivere nell’ossequio di Gesù Cristo e servire fedelmente a Lui con cuore puro” ; quando suggerisce di meditare giorno e notte la Parola del Signore; quando insegna a crescere nella fedeltà a Cristo con la lotta spirituale e il dialogo fraterno…
Lo aveva capito benissimo S. Elisabetta della Trinità prima di entrare nel Carmelo, quando diceva che bisogna essere fedeli alla Regola anche prima dell’ingresso in monastero. E in un altro scritto: “La Regola è là, dal mattino alla sera, per esprimerci istante per istante, la volontà del buon Dio. Se sapesse quanto l’amo questa regola che è la forma di santità che Egli brama da me. Che m’importa allora il genere di occupazione nel quale egli mi vuole? Stando Egli sempre con me, l’orazione e il cuore a cuore non debbono mai finire. Io lo sento così vivo nell’anima mia!”
Certo non è facile vivere l’intimità con Dio e , sulle orme di San Paolo, la Regola indica che il cammino non è senza ostacoli, ma è proprio il rapporto di fiducia che l’uomo deve avere nel Signore che apre la porta alla sua costanza, alla pazienza, alla fedeltà. E’ tutto più facile se nella lotta contro ogni tentazione l’uomo si riveste dell’armatura di Dio (artt. 18 e 19). Lo dice san Paolo nella lettera agli efesini (EF 6, 10-20) che il cardinale Carlo Maria Martini definì “forse la più contemplativa del Nuovo Testamento, quella in cui si penetra con profondità inaudita nel mistero di Cristo”. Nel libro “Il sole dentro”, il cardinale Martini partiva proprio dalle affinità  fra l’articolo 16 della Regola carmelitana (diviso oggi negli articoli 18 e 19, secondo la nuova redazione della Regola) e  quei versetti della Lettera agli Efesini. In entrambi la contemplazione del mistero non esclude il combattimento spirituale, che è un’esperienza che prima o poi vivono tutte le anime di preghiera.
Qual è il combattimento che oggi affronta un carmelitano che vive la fede cristiana e la vocazione al Carmelo? Sicuramente confrontarsi con un modello di vita che ci catapulta nel caos, nell’iperattività, nelle contraddizioni. Ci sentiamo anacronistici a desiderare il silenzio, quasi lo nascondiamo a noi stessi.
Come si fa a vivere l’intimità con Dio, in questo mondo che va di corsa? Come si fa a ritagliare uno spazio per la preghiera? E’ giusto mettere da parte gli impegni, i doveri? Quante domande? Quanti pretesti? E qui il senso del combattimento spirituale o della lotta con se stessi che anche chi desidera con tutto se stesso amare Dio deve intraprendere. Bisogna essere consapevoli di questa lotta, senza sfuggire. Affrontandola con quella virtù che tanto la santa madre Teresa di Gesù raccomandava alle sue prime monache di San Giuseppe: l’umiltà.  Da solo, sì, non posso vincere.
L’umiltà mi fa comprendere che se lascio fare a Dio, mettendomi nelle sue mani, lasciandomi guidare da Lui (“rivestire l’armatura di Dio”) comincerò a trovare l’orientamento nelle mie giornate, l’esercizio a essere vigile, la consapevolezza che Lui è al mio fianco ovunque io vada, sul “Monte” o fra la gente che corre smaniosa; comunque io sia, gioiosa o nella prova. Sarebbe bello poter dire come Elisabetta della Trinità: lo sento così vivo nell’anima mia!”.
E’ la meta di noi carmelitani. Non scoraggiamoci!

Stefania De Bonis ocds
tratto dal Bollettino della Provincia Napoletana "Crescere in fraternità" gennaio 2017

Meditazioni sulla Regola (Esercizi Spirituali  con p. Mario Alfarano, Nusco 2017)

I meditazione: Una comunità fondatrice
II meditazione: Un cammino di trasformazione
III meditazione Il combattimento spirituale
IV meditazione  Identità del laico carmelitano e le sue relazioni nel quotidiano


SCHEDE SULLA  REGOLA
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