martedì 20 giugno 2017

La parola di Dio nella vita spirituale del Carmelitano Secolare

Domenica 11 giugno, Solennità della SS. Trinità (il più gran Santo del Paradiso amava dire il N. S. Padre Giovanni della Croce), la Comunità dell’OCDS di Parma si è ritrovata a Traversetolo presso le Figlie della Croce, per la terza ed ultima delle Giornate di Ritiro di quest’anno.
Il tema della giornata “La Parola di Dio nella vita spirituale del Carmelitano Secolare” e i due momenti di meditazione sono stati tenuti da P. Davide Capano ocd.
La giornata ha vissuto anche la Promessa Definitiva del nostro fratello Alberto, inserita nella celebrazione Eucaristica delle ore 9.30, mentre Caterina ha fatto l’Ammissione alla Formazione, rivestendo lo Scapolare e ricevendo il Vangelo e le Costituzioni, durante la preghiera dell’Ora Media di Sesta, opportunamente adattata al Rituale.
Erano presenti un fratello e due sorelle della Comunità OCDS di Bologna e la Presidente della Provincia OCDS Lombarda, Rosa Maria Pellegrino.

La giornata è stata scandita da momenti di preghiera, iniziata con la celebrazione delle Lodi e dell’Eucaristia (erano presenti anche le suore Figlie della Croce); dalla meditazione di P. Davide, la celebrazione dell’Ora Media e dal pranzo conviviale offerto dalla Comunità. Nel pomeriggio l’ora di adorazione Eucaristica guidata, la seconda meditazione e la conclusione con il Vespro.

Il Consiglio di Comunità di Parma

Pubblichiamo ora la sintesi delle meditazioni del P. Davide Capano, La parola di Dio nella vita spirituale del Carmelitano Secolare”,   
durante la giornata di Ritiro Spirituale dell’11 giugno 2017:  “

I Parte 
Nelle Costituzioni, al n.1, è scritto che “I Carmelitani Secolari, insieme ai Frati e le Monache, sono figli e figlie dell’Ordine di Nostra Signora del Monte Carmelo e di Santa Teresa di Gesù; perciò condividono con i religiosi lo stesso carisma, vivendolo ciascuno secondo il proprio stato di vita.” Se il Secolare incontra tante difficoltà a trovare dei tempi proficui per la meditazione della Parola, questo vale anche per i religiosi. Prima di tutto analizzeremo la Parola di Dio come scrittura, cioè libro materiale; leggiamo nella Regola di S. Alberto al n.10:” A meno che non sia occupato in altre legittime attività, ciascuno rimanga nella sua celletta, o accanto ad essa, meditando giorno e notte la Legge del Signore e vegliando in preghiera”.  Il carmelitano deve trovare gli spazi ed i tempi necessari alla crescita spirituale, che avviene attraverso la meditazione della Parola. Alla base dei testi di legislazione dell’Ordine sono posti tre importanti riferimenti: la Vergine Maria, Elia e S. Paolo. 
Al n.19 della Regola si tratta della Conversione, un tema tutto paolino, un processo che è un’inversione di marcia, un convertire ciò che c’è, cristianizzando. Questo è proprio il centro di tutta la Regola, in cui si elencano le armi di cui si deve disporre per affrontare il combattimento spirituale: la corazza della giustizia, lo scudo della fede, l’elmo della salvezza, la spada dello spirito (la Parola di Dio). Infine c’è un riferimento al Deserto, patria del demonio, dove si recano gli eremiti per affrontarlo, come Gesù, inviato lì dallo Spirito.  Gesù affronta con la Parola il nemico spirituale, il quale si rivela fine esegeta, le sue parole tendono alla spettacolarizzazione della Religione, con la tentazione di far mostrare la Potenza divina, oltre l’umano, usando in modo arbitrario le sue facoltà, ma Gesù combatte con la parola e col silenzio. Il carmelitano deve coltivare i momenti di silenzio, per esserne formato e per ruminare la parola; la vita di preghiera è intessuta appunto di orazione e parola e questo ci rende atti a sostenere il combattimento spirituale, che secondo S. Teresa D’Avila è necessario per poter giungere alla stanza del Re.  Quest’ultimo concetto rievoca il Cantico dei Cantici che termina con “..tu che abiti nei giardini, fa risentire la tua voce, sopra il monte degli aromi…”, l’amato trova l’amata, non avviene il bacio, ma la fuga, lo scomparire della presenza, l’attesa del compimento e così anche alla fine dell’Apocalisse di Giovanni “…si compie il senso della Creazione, lo sposo e la sposa, Dio e la Chiesa, dicono vieni..” in un senso di profonda attesa, nella sospensione del Compimento; la Chiesa affronterà tappe di purificazione, ma Dio tornerà ed essa sarà Trionfante. La conclusione dei testi biblici lascia intendere un’apertura, un’attesa, un ritorno, mai una fine determinata e conclusiva. 

Il Cardinale Ballestrero scriveva nel “Il Carmelo, la mia casa.” che dobbiamo ricordare costantemente i fondamenti da cui siamo partiti, come il “Vivere in Ossequio di Gesù”: la responsabilità della buona coscienza, la ricerca della cella, in cui lo spazio ed il tempo per la Parola, genera il frutto del lavoro apostolico. Spesso questo lavoro non dà profitto, perché manca la preparazione spirituale e morale, compresa la dimensione contemplativa, che è un’azione propria del Carmelitano, faticosa, per questo nessuno la vuole fare. La meditazione e la preghiera sono le attività Perenni del Carmelitano. Il religioso, secondo la Regola si vede assegnate le sole attività della preghiera e della meditazione, ignorando le altre, perché solo la proclamazione della parola e la contemplazione rendono efficaci l’opera evangelizzatrice, la missione apostolica, attraverso la mediazione dello Spirito Santo. La solitudine poi, va custodita ed è una necessità, sia per raggiungerla che per difenderne il possesso. Quindi l’Armatura fa riferimento a S. Paolo, il Silenzio a Maria, la prima missionaria, che non ha proclamato le opere realizzate e compiute per essere acclamata, ma l’ha testimoniato nel silenzio sofferente, mostrato sotto la Croce (Stava la Madre presso la Croce di Gesù). Il deserto ci rimanda alla figura di Elia, il quale scappa nel deserto in atteggiamento di sconfitta, e si fa travolgere dall’Accidia, dal desiderio di non fare, annullando anche l’attività spirituale. Riprende le forze solo dopo aver mangiato, dopo aver ricevuto la Comunione, per indicarci l’esigenza di frequentare assiduamente il bene sacramentale, come viatico al luogo di accesso del LOGOS, il Verbo, cibo Eucaristico, che permette l’assimilazione al Corpo di Cristo. Ci fu un vento impetuoso, poi un terremoto, poi un fuoco, poi un venticello leggero ed Elia si copre il volto, ma Dio si rende presente mediante una voce di silenzio sottile, che si può ascoltare solo quando tutto tace e la Sua voce viene così riconosciuta.  Elia ha ancora paura ed ammette davanti a Dio il suo timore, ma subito dopo viene inviato a compiere la sua missione di profeta con un’importante risvolto profetico e religioso. Nonostante il dissolvimento della fede, la debolezza dell’umana natura, la relatività della condizione terrena, Dio agisce in modo sempre attivo e riserba per sé un gruppo di persone in mezzo ad una moltitudine, designato a realizzare dei precisi progetti divini, investito, nonostante tutto, di grande responsabilità ed importanti ruoli.  
II Parte
  Il contesto ora si sposta dal libro materiale al Libro vivente che è Gesù Cristo, Verbo eterno del Padre. Nelle lettere di S. Paolo, così come nel Vangelo di Giovanni, la visione centrale è assegnata a Cristo, Verbo di Dio fattosi carne, la Parola compiuta. Attraverso il processo dell’Incarnazione ci rese atti a ricevere e capaci di raggiungere Dio. Ma come si inserisce la Parola di Dio nella nostra vita? S. Teresa D’Avila indicava nell’Umanità di Cristo l’insegnamento perfetto, la dottrina più elevata che si possa studiare, per la comprensione della verità. L’umanità di Gesù, la sua presenza reale parla, comunica con tutta la sua persona è con tutti i suoi gesti. La Parola, che è Gesù, supera la Verbalizzazione di ciò che ha detto; mediante l’esperienza della Redenzione: crocifissione, morte e resurrezione viene racchiusa la nostra storia! 

Nel volto di Cristo, si identifica il volto del Padre, Gesù con la sua persona e con il suo insegnamento ed in tutto sé stesso permane, come uomo e come Dio, patendo su di sé realmente il peccato del mondo. Lo scandalo della Croce non va sottinteso, né dimenticato, perché è lì dove si esprime il grande Amore (nell’incontro di due libertà: uomo-Dio).  Quando Gesù ascende al cielo ha ancora i segni dei chiodi alle mani, e si pone nel grembo della S.S. Trinità, per renderci partecipi di questa corresponsione amorevole e trinitaria, grazie all’azione dello Spirito santo che è in noi. Questo EVENTO ci investe, ci colpisce, inoltre ci permette di capire la Scrittura, poiché la Parola di Dio è sapienziale. La Sua morte si apre alla dimensione universale, Ecclesiale, che abbraccia ogni uomo. L’umanità lotta con Dio, ma prega senza distaccarsi da Lui, portando già in sé l’esaudimento del Risorto: uomo tra gli uomini. Con i discepoli di Emmaus mangia normalmente, anche se qualcosa è avvenuto ed è cambiato, infatti non Lo riconoscono. Il signore passa, cerca ogni uomo, che spesso non si accorge o non lo riconosce, o semplicemente nel timore di vedere rivoluzionati i personali piani di vita, si lascia sfuggire un grande dono di grazia. Come i Discepoli di Emmaus che rimangono incerti sulla sua identità, di sicuro intimamente consapevoli. Nella dialettica tra luce - tenebre, conoscere - non conoscere, Gesù compare – scompare. Egli è corporeo, ma non è legato alle leggi della corporeità, infatti il Risorto manifesta una nuova esistenza. Egli è lo stesso, ma è anche il nuovo, in un genere diverso di esistenza. La dialettica è evidente perché il risorto è risorto col corpo, ed il fenomeno quindi non è solo spirituale, ma anche fisico, materiale. Nell’alterità/ identità si rispecchia un incontro sconcertante con la novità della Teofania: Gesù è veramente uomo a partire da Dio, fonte di vita, ed il suo scomparire permette a noi uomini di accedere alla vista interiore, attraverso cui percepire la Sua nuova identità.  In questo salto ontologico la Resurrezione non è la rivitalizzazione di un cadavere, ma la maestosa gloria di Dio che si riattualizza nella Parola vivente! Lo sforzo richiesto è che noi riusciamo a vedere senza vedere, un corpo senza corpo, ma più che mai vivente, attraverso una fede che scorge la luce, nell’oscurità della notte, tra le feritoie delle piaghe del mondo, aperti alla speranza dell’attesa. “Maria, Vergine in attesa, dall’inizio alla fine, dove attesa vuol dire amare all’infinito, segno di speranza.  E il Signore che viene, ci sorprenda, anche per tua materna complicità, con le lampade in mano”. (Tratto da “Maria donna dei nostri giorni” di Don Tonino Bello)   
La segretaria Panetta Maria Carmela