MEDITIAMO CON P. LUIGI GAETANI
DAL VANGELO DI GIOVANNI (2, 1-11)
Dopo
il tempo natalizio, la liturgia ci invita a permanere nella simbolica
matrimoniale attraverso la narrazione delle nozze di Cana di Galilea (Gv 2,
1-11), una simbolica che rimanda al mistero dell’incarnazione del Verbo, come interscambio tra l’umano e il divino, ma
anche all’alleanza di Dio con il suo popolo. L’evangelista Giovanni, è l'unico che narra questo evento del nozze di Cana,
un brano che riveste un ruolo rilevante nella struttura del quarto vangelo ed
offre una chiave di lettura per capire il piano narrativo dell’evangelista.
L’immagine
del matrimonio per parlare del rapporto di Dio con il suo popolo è sempre stata
cara ai profeti (Is. 54.62; Ger. 2; Ez 16; Os. 2). Tutta questa carica
simbolica deve essere tenuta presente per focalizzare l’identità di colui che
giunge a Cana per partecipare alle nozze, una identità che fa passare in
secondo piano il protagonismo degli sposi, di cui non conosciamo nulla.
Secondo
il Cantico dei Cantici (1,2; 7,10; 8,2) il vino è il simbolo dell’amore tra lo
sposo e la sposa pertanto, se lo sposalizio di Cana è da collocare, sul piano
simbolico, nella rappresentazione dell’amore fra Dio sposo e Israele sposa, ciò
significa che l’amore nell’alleanza antica si era estinto, come il vino nelle
giare.
La
carenza di vino viene notata da Maria, la donna che fa ponte tra l’antica e la
nuova alleanza, la quale si rivolge non all’organizzatore del banchetto, ma a
Gesù. Infatti, se lui è il Messia-Sposo, è a lui che ci si deve rivolgere per
superare la mancanza dell’amore tra il popolo e Dio, mancanza che sarà colmata
solo nell’ora stabilita, in quel vertice dell’amore spinto al massimo e
rappresentato dal passaggio da questo mondo al Padre (Gv 13,1), la sua pasqua
(7,30; 8, 20; 12, 23.27; 17,1). Giovanni evidenzia così che non sono più le
giare colme d’acqua che purificano l’uomo e lo rendono degno di Dio e che
l’ossessione delle abluzioni purificatrici non solo ha svuotato le giare dell’acqua
ma ha reso la relazione tra Dio e il suo popolo molto formale, colma di paura
di essere sporchi ed impresentabili davanti a Dio, come una festa di nozze
senza amore ma piena di convenevoli.
L’ordine
di Gesù è quello di riempire di acqua le giare. Il ruolo di Gesù Messia sta
nell’operare una trasformazione profonda della legge antica, rappresentata
dall’acqua, nella sua vivificazione, significata dal vino. Sta nel passaggio da
un contatto esterno, epidermico ad una presenza interiore (Ger. 31,31-34), ad
una gioia dentro l’uomo. Così a Cana comincia già a delinearsi l’identità di
Gesù, lo sposo vero (3,29), il frutto della sua ora.
“Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei
segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli cedettero
in lui” (Gv. 2,11). E’ quasi un riassunto del brano. Siamo all’inizio dei
segni e il primo che Gesù compie ha sapore sponsale. Il segno illumina,
chiarisce, ne rivela il senso, manifesta con il suo agire la gloria di Dio e la
nascita della fede nel cuore dei discepoli. È questo il
motivo per cui il racconto delle nozze di Cana fa in realtà parte della festa
dell’Epifania. Le tre domeniche che vanno dall’Epifania fino alla seconda
Domenica ordinaria, passando per il Battesimo del Signore, hanno tutte un
elemento dell’Epifania del Signore. Tuttavia, per comprenderlo sino
in fondo, questo inizio dei segni, bisognerà andare fino all’ora di Gesù, il momento in cui egli
diventa sorgente di vita con l’acqua e il sangue che sgorgano dal suo costato
(Gv. 19,34).
“Non
hanno più vino” dice Maria a Gesù, con parole semplici e misteriose che
potremmo tradurre con non hanno più gioia, sono a corto di amore. Questa
denuncia di Maria di Nazareth va al cuore del messaggio cristiano, mentre evidenzia
il limite della legge: “La gioia del
Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù.
Coloro che si lasciano salvare da lui sono liberati dal peccato, dalla
tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”, come dice Papa Francesco
(EG, 1).
Giovanni della Croce |
Cana ci invita a passare dall'acqua al
vino, a mutare, a raggiungere quell’umano compiuto che è significato dalla
persona di Gesù Cristo: “Cristo svela
l’uomo a se stesso e ne rivela la sua altissima dignità” (Gaudium et spes,
22).
Cana ci invita a spalancare i nostri
occhi di carne per vedere attentamente i fatti; ma spalanchiamo anche gli occhi
di tutti i nostri sensi perché si vede toccando, odorando, ascoltando,
lasciando che tutto ciò che ci costituisce sia proteso verso la comprensione
dell’altro. Solo così potremo vedere nella nostra Cana, quella del quotidiano,
la gloria di Gesù.
p. Luigi Gaetani ocd