mercoledì 25 gennaio 2017

Alla scoperta di S. Elisabetta della Trinità

CONVEGNO PROVINCIALE OCDS

Vorremmo condividere la bella esperienza vissuta lo scorso 17 dicembre a Milano presso  la chiesa dei Carmelitani Scalzi del Corpus Domini si è tenuto il Convegno delle comunità OCDS della Provincia Lombarda.
La giornata è stata allietata dalla presenza di un relatore d’eccezione: padre Antonio Sangalli OCD; Vicepostulatore della causa di canonizzazione dei coniugi Martin e di Elisabetta della Trinità.
E proprio sulla figura di  Elisabetta padre Antonio ci ha guidato alla scoperta di questa nuova santa e delle sue profonde intuizioni sull’ inabitazione della Santa Trinità nell’anima di ogni uomo e sulla attualità della sua esperienza spirituale nella vita di un laico OCDS
La giornata ha avuto una notevole adesione di partecipanti soprattutto  provenienti dalle comunità di Milano, Monza, Concesa, Bologna, Lodi e Piacenza


Un giorno con S. Elisabetta della Trinità


Padre Antonio Sangalli saluta e ringrazia i presenti e coloro che hanno partecipato alla canonizzazione di S. Elisabetta della Trinità a Roma il 16 Ottobre per la presenza numerosa, in questa occasione, di molti membri dell’Ordine Secolare che hanno partecipato a tutti i momenti dell’evento: a partire dall’antivigilia della canonizzazione come pure alla veglia nella chiesa del Sacro Cuore dei Salesiani a Roma, alla canonizzazione di Elisabetta e infine alla prima Messa di ringraziamento in S. Paolo fuori le mura. Un ringraziamento di cuore perché, lui dice, ha sentito la presenza della Provincia più attraverso l’Ordine Secolare che non attraverso sé stesso:
“Vedervi mi ha sinceramente commosso perché so che avete affrontato disagi notevoli per poter partecipare a quei giorni molto intensi. Mi spiace perché non riesco ancora a comprendere come mai Elisabetta della Trinità rimane ancora un po’ in disparte. Certe volte sembra quasi che la figura di Teresa di Gesù Bambino la fagociti tutta, attiri tutta l’attenzione su di sé mentre  sono due personalità nel Carmelo che ognuna richiama all’altra pur non essendosi mai incontrate.  Elisabetta leggerà, poco prima di entrare nel Carmelo di Digione, la “Storia di un’anima”. Sappiamo che l’ha comperato nella portineria stessa del Monastero di Digione, dopo alcuni anni quando la mamma ormai le aveva dato il permesso di entrare nel Carmelo a ventun anni. Vedremo anche di cogliere alcuni aspetti della vita di questa monaca di clausura molto insolita, perché anche se lei vive pochissimo all’interno del Carmelo, ne vive il carisma in modo straordinario da laica. Quindi in modo molto, molto vicina a voi Laici Carmelitani. Mi hanno aiutato molto quei quindici giorni che ho trascorso a Digione dopo la canonizzazione. Le monache mi avevano chiesto di essere presente alle varie conferenze, alle interviste che i giornalisti facevano per cui le monache erano a disagio a rispondere, sia sul processo come sulla santità di Elisabetta. Loro avevano già fatto parecchio e chiedevano di avere una voce diversa. Quindi sono partito la domenica seguente la canonizzazione e sono rimasto per due settimane, fino alla prima festa liturgica di Elisabetta della Trinità che si è chiusa l’8 di novembre scorso con l’installazione definitiva delle reliquie di Elisabetta nel nuovo Reliquiario, che è stato poi deposto sempre nella chiesa di san Michele in Digione.
Sono stati dei giorni intensissimi che mi hanno permesso di scoprire la “laicità impegnata da carmelitana” di Elisabetta. Abbiamo fatto a piedi tutto l’itinerario che lei faceva di tutte le famiglie di cui abbiamo traccia nelle sue lettere. Tutte le famiglie, gli amici, le amiche non solo quelle contemporanee alla sua età, perché attraverso i figli, i giovani, lei arrivava alle mamme. Con un’amica carissima, Elisabetta, alla sera dopo aver trascorso insieme un po’ di tempo durante la giornata, (mai in maniera dissipata, anche quando ballava, danzava, la sua anima era sempre unita a Dio; nel mondo laicale Elisabetta ha saputo vivere il carisma carmelitano in pieno prima ancora di entrare in clausura, prima ancora di vivere da claustrale). Ebbene, quando da casa dell’amica, questa l’accompagnava a casa di Elisabetta, arrivati a casa Elisabetta tornavano indietro e Elisabetta accompagnava l’amica a casa! E andavano aventi e indietro per un certo tempo ……  Questo per dirvi come anche durante la strada, sul cammino, Elisabetta era ascoltata, Elisabetta educava. Elisabetta ha introdotto il mondo laico nella vita trinitaria di Dio.
Questo mi ha colpito, come mi ha colpito vedere tutte queste case borghesi, molto belle (esistono ancora, sono sette, otto case) in cui vivevano queste famiglie che Elisabetta conosceva (attraverso la mamma ne ha frequentate moltissime anche lei). Del Monastero non è rimasta pietra su pietra ma i suoi santuari sono queste case che ne conservano la memoria. Ci hanno portato persino nella soffitta di quelle case dove Elisabetta, insieme alle sue compagne, si dedicava anche in modo un po’ infantile, alla vita religiosa. Avevano una specie di romitorio, le altre giocavano, Elisabetta no, Elisabetta non giocava.
Volevo darvi questa immagine di Elisabetta . Vi è una scena in cui è in parlatorio e parla con la sorella Guite e col marito. Una carmelitana che, ante litteram, trasmette a sua sorella la spiritualità che sta vivendo. Questo ci aiuta a capire come la spiritualità carmelitana non è un carisma chiuso, da sperimentare unicamente all’interno di una vita contemplativa, di una forma di vita particolare come quella dei frati e delle monache. Lei parlava della inabitazione della Trinità a sua sorella, al punto che i figli di Guite, (io ha avuto la fortuna di incontrarne due prima che morissero)  Giacomo e Francesco parlavano di Guite come della vera santa, la loro mamma era la vera santa, non Elisabetta.
Questi due figli, che hanno vissuto abbastanza a lungo, han vissuto tutto il processo di beatificazione e di canonizzazione, però, sempre, ogni volta che li ho incontrati rivendicavano il fatto che Elisabetta aveva educato la loro mamma e che la loro mamma ha assorbito completamente, da laica, da sposa, da vedova.  Guite ha avuto undici figli e ha dovuto tirarli grandi tutti da sola. Tutto questo non le ha impedito di vivere all’interno di sé il mistero della Trinità, educata  proprio a questo. E’ stato posto ( parlatorio del Monastero )un pannello in bronzo in cui si vede Elisabetta all’interno della clausura che parla alla sorella e al fratello dall’altra parte, passa l’educazione forte di Elisabetta. Elisabetta è anche lei in linea verso un dottorato possibile? Io penso di sì.
Del resto il più grande scopritore della spiritualità di Elisabetta, il padre Philippon, parlava di “dottrina” . Nel 1937 scriveva un libro: “La dottrina spirituale di suor Elisabetta della Trinità”. Sfogliando il libro d’oro della comunità dove vi erano le firme dei personaggi più illustri che avevano visitato il Monastero, si trova un ricordo lasciato dal padre Philippon come firma, dove lui auspicava presto la canonizzazione di Elisabetta. Sono passati invece molti anni, ma credo che il Signore o Santi ce li consegna quando lo ritiene opportuno Lui stesso. Ci da i Santi di cui noi abbiamo bisogno nel momento più giusto per la nostra storia. Anche padre Philippon scriveva auspicando la canonizzazione di Elisabetta quando ancora non era neanche cominciato il processo che sarà poi un processo molto lungo, interrotto, ripreso, portato avanti come si sa con i segni del cielo, i cosiddetti miracoli che quando non accadono, il Servo di Dio o il Beato aspetta e attende.
Dopo questa breve parentesi introduttiva e interlocutoria mi pare importante fare un’altra precisazione. Elisabetta della Trinità non sviluppa una dottrina specifica sulla misericordia come siamo abituati a vedere negli scritti di santa Teresa di Gesù Bambino. Gli scritti di Elisabetta sono molto meno numerosi, meno diffusi di quelli di santa Teresa. Elisabetta dobbiamo imparare a conoscerla attraverso le sue lettere, attraverso le lettere che ha scritto a tantissimi personaggi che hanno avuto a che fare con lei. Una vita, quella di Elisabetta della Trinità, dove la parola “misericordia” viene usata tantissimo quasi sempre abbinandola a “miseria”. In parecchi suoi scritti voi troverete le parole “miseria e misericordia” messe una accanto all’altra. La miseria, l’abisso della nostra miseria, dirà, non farà altro che richiamare su di noi l’abisso della misericordia di Dio.
Vorrei cercare di cogliere con voi la sproporzione di questa parola (Elisabetta l’ha colta completamente), la sproporzione immensa, indescrivibile di quello che è la misericordia. Elisabetta non aveva a disposizione la Bibbia come l’abbiamo noi oggi, per cui è sorprendente scoprire come lei la citi anche in latino. Cita alcune frasi in latino per le quali certamente si è fatta anche aiutare per capirne i concetti.
Lei aveva a che fare con una parola molto forte che nei suoi scritti ritorna diverse volte, la parola “troppo”, che non è “tanto” ma “troppo”. Questa parola in Elisabetta trova una storia un po’ particolare perché  lei fonda questo smisurato amore di Dio sull’errore di traduzione della Bibbia. Lei aveva in mano “la Vulgata”, il testo di san Girolamo dove lui spiega il passo famoso del Vangelo di Giovanni dove dice che Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio suo. Questa è una delle frasi capitali. Elisabetta è legata strettamente a san Paolo e all’evangelista Giovanni che sono i due capisaldi di tutta la sua dottrina che fonda, che trova le radici in san Paolo e san Giovanni evangelista.
Se Teresa di Gesù Bambino è affascinata dalla lettura delle lettere di Paolo ai Corinti, Elisabetta da parte sua è affascinata soprattutto dalla lettera agli Efesini che diventerà il testo cardine di tutta la sua spiritualità, di tutto il suo amore al Dio Trino e Uno. Diventerà una familiarità estrema fino a chiamarli “I miei Tre”, e questo lo deduce tutto dalla Scrittura. Lei si trovava a misurarsi con questa parola di Giovanni in latino e in francese: “Dio ci ha amato troppo”, come era tradotto da Girolamo.
Cosa è il “troppo”? Questo vorrei aiutarvi a capire. Il troppo di questo amore, esagerato, di Dio. Come fare a capirlo? Parto da un fatto di cronaca nera per aiutarci a capire l’eccesso dell’amore, un amore ingiustificato, che non ha un  fondamento nella ragione, che non ha fondamento logico, è sproporzionato! E’ di fronte a questo che Elisabetta rimane sconcertata e lo spiegherà in tutti i modi a tutti: Ama la tua miseria, ama il tuo peccato. Cerchiamo di capire queste frasi paradossali: ama la tua miseria, la tua piccolezza, la tua fragilità perché la MISERICORDIA si esercita lì.
Vi racconto questo fatti di cronaca di qualche anno fa. Due fatti di cronaca che aiutano a illustrare questo abisso di misericordia col quale Dio ci ama, questo “troppo” dell’amore di Dio. Qualche anno fa, la tv e i giornali hanno parlato a lungo del duplice omicidio che due ragazzini, Omar e Erika, avevano commesso a Novi Ligure. A me ha colpito il troppo amore di questo padre per sua figlia. “Se voi che siete cattivi siete capaci di dare cose buone ai vostri figli….” . Guardate questo padre che non è mai apparso in nessuna trasmissione televisiva per parlare di quello che era successo. Questo padre, che dopo aver assistito alla condanna della figlia, ritorna nella propria villetta da solo, senza farsi aiutare da nessuno e lava tutto il sangue della moglie e del figlioletto. La casa era un disastro, tutti i muri imbrattati di sangue. Ha pulito tutto da solo. Pensate che atto d’amore, che meditazione! Ecco l’incredibile. Non solo ha pulito e lavato tutto, ha ridipinto la casa con gli stessi colori di prima, quasi a dire: non voglio dimenticare quanto è successo. E’ tornato ad abitarci e quando il tribunale ha parlato della figlia ha detto: “io devo pur difenderla, anche al limite da sé stessa e quando la guardo mi chiedo dove ho sbagliato “.
Se Dio di fronte a tutti i nostri crimini si chiedesse, come questo papà, dove ho sbagliato la risposta sarebbe: il troppo amore. Questo papà che ragione ha di agire così? Difendere ad ogni costo la figlia che gli ha ucciso la moglie e il figlioletto. Se quest’uomo è stato capace di tutto questo cosa farà mai Dio nei nostri confronti.
Questo per farci capire lo scandalo; ci scandalizza che questo papà si comporti così! La figlia è stata condannata ma il papà non l’ha mai abbandonata. Lei si trovava in una comunità di rieducazione dalle parti di Brescia e il giorno prima che venisse liberata, dopo aver scontato la sua pena, i giornalisti cercavano di fotografarla all’interno della struttura di recupero dove si trovava. Sul Corriere della Sera hanno pubblicato una fotografia di Erika che camminava per caso nel cortile adiacente la cucina davanti alla pattumiera. Davanti ai piloni del pattume c’era una statua di santa Teresa di Gesù Bambino! Fotografata dai giornalisti, c’era una statua a grandezza naturale di Santa Teresa di Gesù Bambino. Quasi a dirci: seduta anche lei alla tavola dei peccatori, a mangiare lo stesso cibo.
Teresa di Gesù Bambino e Elisabetta della Trinità dove prendono questa ampiezza di questo amore misericordioso? Teresa alla fine della sua vita non dirà più la preghiera per convertire i peccatori, si siederà alla tavola e dirà: abbi pietà di noi! Si mette dentro anche lei. Stupendo atto di condivisione. Non è un modo di dire; condivide il dubbio, condivide l’aridità, la prova della fede con chi la fede l’ha persa, con chi la fede non ce l’ha. Si siede e dice al Signore: “abbi misericordia di noi, rimandaci giustificati tutti dalla tua giustizia, non dalla nostra che non è perfetta .
Elisabetta è colpita da questo amore esorbitante di Dio. Ha una coscienza così acuta che condivide con chiunque incontra.
Un altro aspetto che mi ha scioccato della misericordia del Signore è questo fatto che vi racconto per scioccare ciascuno di voi. Un pugno nello stomaco. Abbiamo appena finito un Giubileo sulla Misericordia e cosa non ha fatto papa Francesco! Ogni settimana ha visitato le persone più lontane, i sacerdoti che si sono sposati, che hanno fatto famiglia, che non sono regolari, sono in una situazione estrema di fragilità e di difficoltà. Lui è andato a stare a casa con loro e noi, magari, ci siamo anche scandalizzati.
Ebbene, vi scandalizzo di più. Voi sapete che Edith Stein è stata uccisa, gasata nel campo di concentramento di Auschvitz. In quei campi ha perso la vita anche padre Massimiliano Kolbe, dichiarati entrambi Santi dalla Chiesa. Il comandante del campo di concentramento di Auschivitz Rudolf Hoss venne, alla fine della guerra, arrestato e condannato a morte, imprigionato in attesa della sua esecuzione. Mentre attendeva l’esecuzione capitale chiese di confessarsi, non trovarono nessun sacerdote disposto a farlo, nessun sacerdote disposto ad ascoltare la sua confessione. Certo le ferite in quel momento erano molto vive, aperte, dolorosissime. Milioni di persone uccise, gasate, fatte fuori con la superficialità più disgustosa. Lui si ricordò, però, di aver risparmiato una volta un sacerdote. Avevano arrestato una comunità di Gesuiti a Cracovia, molti sacerdoti deportati ad Auschvitz ma il Superiore della casa non era presente al momento dell’arresto. Quando si accorse, tornando a casa, che tutti i suoi confratelli erano stati deportati si presenta anche lui al campo di concentramento. Lo portano davanti al comandante del campo il quale lo guarda e lo manda a casa. Lo manda via, non lo arresta nonostante avesse dichiarato di far parte della comunità e di esserne il Superiore. Non se la sentiva di abbandonare i propri amici e confratelli al destino che già prevedeva quale sarebbe stato.
In carcere, il comandante si è ricordato del nome di questo sacerdote e chiede ai guardiani del carcere di andarlo a cercare. Lo trovano in Polonia, a Cracovia, e accetta di venire a confessare quello che chiamavano “animale”, non criminale. Dopo la confessione il sacerdote assolve il condannato a morte da tutti i suoi peccati. Un po’ ci ruga ma se vogliamo che ci rughi un po’ di meno proviamo a pensare a chi è il primo canonizzato da Gesù stesso, il primo che entra con Lui in paradiso.
Vorrei provare a farvi cogliere attraverso questi aspetti la grandezza del cuore di Elisabetta e  di Teresa che si allarga  a questa ampiezza di misericordia. Più che farvi vedere dove Elisabetta parla di questo o di quello, non è una dottrina, è un’esperienza che fanno queste donne ed è l’aspetto più bello, quello mistico. L’esperienza dell’amore di Dio che riverbera nel loro cuore e loro non sanno fare altro che allargarlo ulteriormente. La misericordia.
Ebbene questo comandante  riceve l’assoluzione dei suoi peccati e il giorno dopo il confessore ritorna per portargli la comunione prima che venisse impiccato. La guardia del carcere ricorda di non aver mai visto nulla di più bello: l’animale in ginocchio che piangeva come un bambino che stava per fare la sua prima comunione. E’ andato all’impiccagione con Gesù Cristo in gola, l’hanno giustiziato, appeso alla forca, non dobbiamo scandalizzarci. La Chiesa ortodossa, più che la nostra latina, al buon ladrone ha dato anche un nome, Disman  il buon ladrone, la Chiesa, lo mette sempre nei santi ma fuori dal gruppo perché è un santo anomalo, un santo che non ha fatto un lungo tirocinio di conversione; si è convertito insieme a Gesù Cristo in estremis: “oggi sarai con me in Paradiso”.
C’è una bellissima raffigurazione del Paradiso, un’icona che raffigura il Paradiso dove si vede san Pietro che per la prima volta sta aprendo il Paradiso, ha in mano la chiave e tutti i santi dietro di lui che aspettano di entrare e lui tiene per mano. E’ la comunione dei santi: che lui tiene per mano l’altro, è una cordata, sono tutti concordi, vogliono tutti la stessa cosa. San Pietro tiene per mano san Paolo, san Paolo tiene per mano gli apostoli e gli apostoli tengono per mano tutta questa catena. Non c’è prospettiva nelle icone russe, per cui si vedono tante aureole con queste testoline che escono da questa catena immensa di tutti questi che aspettano di entrare. Ma quando entrano, sulla soglia, c’è seduta colei che non ha fatto peccati: la “tutta santa”. E’ sulla soglia seduta circondata dagli angeli ma dietro di Lei, perché è entrato prima, c’è il buon ladrone per cui la Madonna sarebbe entrata dopo, secondo questa raffigurazione. Il buon ladrone ha preceduto tutti, è già dentro, è entrato tutto sporco com’era, con un piccolo straccetto attorno ai fianchi e la sua croce in mano. Ha abbracciato anche lui la croce come Cristo, non ha stramaledetto quel luogo in cui è stato crocifisso.
Qualcuno erroneamente lo chiama fortunato ma, non dico che l’ha guadagnato perché anche lui entra gratuitamente, Gesù ha detto: “chi vuol venire dietro me prenda la sua croce …”; quindi è dentro con la sua croce quella vera, fisica, materiale che ha avuto la sorte di condividere insieme a Cristo.
La “misericordia”, il Vangelo, la mette già al primo istante della morte di Cristo; in quel momento già salva. In quel momento Cristo introduce insieme a sé stesso: “oggi sarai con me ….”; penetrati nel Regno senza le chiavi di Pietro. E’ teologia dipinta però ci fa vedere l’umanità, la larghezza del cuore.
Abbiamo visto la sproporzione di questa “misericordia” di cui abbiamo appena trascorso e terminato un anno Giubilare. Non possiamo trovare dentro la misericordia una reazione logica e pensare che la misericordia fa a pugni con la giustizia, anche perché il Papa ricorda spesso che la giustizia è il minimo della misericordia, mentre il massimo della grandezza della giustizia è la misericordia. Il modo massimo di essere giusti è quello di essere misericordiosi.
Io non sto toccando Elisabetta, ma volevo innanzitutto scuotere la nostra tranquillità di fronte a questa parola “misericordia”. Allora possiamo entrare in merito alla misericordia come l’ha sentita, come l’ha vissuta, entrare in alcune espressioni di Elisabetta della Trinità. Vi dicevo come mi dispiace che questa nostra consorella, questa amica che ci accompagna da tanto tempo, ha bisogno di essere conosciuta molto di più. Nell’ambiente sacerdotale spesso la si conosce ma molto superficialmente. Bisognerebbe ritornare a leggere gli scritti, che non sono difficili, e approfondirli di conseguenza. Molte delle sue lettere sono completamente indirizzate a sua sorella Guite oppure a degli amici. Sono pochissime le lettere indirizzate alla comunità, alla Superiora; essendo in clausura le sorelle vivono spesso nel silenzio e si scrivono per dirsi delle cose. Basta ricordare che il “Manoscritto B” di santa Teresa di Gesù Bambino, sono due lettere che lei ha scritto alla sorella Maria che abitava qualche cella più in là. Per fortuna che ha scritto perché se avesse raccontato noi non avremmo avuto questo meraviglioso scritto di spiritualità che è un capolavoro, un’opera d’arte.
Di questa frase che io cito spesso: “Ama la tua miseria perché su di essa si esercita la misericordia del Signore”, vorrei farvi vedere il contesto, la lettera nella quale Elisabetta la scrive. E’ la lettera n. 276 del 10 Ottobre 1906, lei muore a Novembre dello stesso anno; bisogna contestualizzare per capire.
Elisabetta sa che il suo tempo si è fatto breve, che se ne sta andando e scriverà il suo testamento: “Lascio la mia fede a ….”. Non alle consorelle del monastero ma a noi, i laici, per chi fa questa esperienza di Dio, neanche per sé stessa. Vuole lasciare a noi la possibilità di viverla, di incontrarla, di poterla fare e la scrive all’amica Germana.
Vediamo alcune lettere scritte a questa amica. La Lettera del 10 Ottobre dice: “Sorellina (chiamarla così voleva dire mettersi sullo stesso piano, stabilire con lei un rapporto quasi carnale, non è parente ma sorella, piccola sorella, indica una familiarità,sorella d’anima, l’amicizia che diventa fraternità),  perché Elisabetta ha un legame con questa persona, tra le due anime c’è un’affinità quasi da DNA. Ma DNA spirituale perché sentono Dio allo stesso modo, alla luce dell’eternità perché lei sta andando verso la vita , l’amore, “non muoio vado verso la luce, l’amore, la vita”). “Il buon Dio mi fa comprendere molte cose “ (l’esperienza di Elisabetta che non sta scrivendo quello che ha letto in un libro, quello che riceve non lo tiene per sé)  “ed io vengo a dirti come da parte sua, di non aver paura del sacrificio, della lotta ma piuttosto di rallegrartene” (l’autorevolezza di Elisabetta non è sé stessa, appoggia la propria autorevolezza in Dio – “mi ha fatto capire, mi ha fatto comprendere “ e questo  avvicina molto Elisabetta a Teresa anche se vanno su due piani diversi. Teresa di Gesù Bambino scrive alla sorella Maria: “ho compreso che la Chiesa …. , ho compreso”. E’ dentro ad uno slancio di esperienza di Dio profondissimo, l’ha compreso alla luce di Dio, non lo comprende semplicemente con l’intelligenza, c’è il cuore che ne fa l’esperienza più profonda. Quindi comunica quello che sta vivendo: se Dio le ha fatto comprendere vuol dire che Elisabetta sta vivendo quello che Dio le ha comunicato, di non aver paura del sacrificio, della lotta ma piuttosto di rallegrarsene. Se la tua natura è motivo di combattimento, se il tuo carattere, la tua personalità, il tuo temperamento è motivo di combattimento, non ti piaci, non ti ami, non ti accetti, non ti vuoi bene, vorresti essere un’altra persona; fra quello che uno è e quello che vorrebbe essere, il proprio progetto, il proprio pensiero, la propria immagine santa che ognuno di noi si fa, Elisabetta dice: butta giù questi castelli per aria fatti di carta velina. “Se la tua natura è un campo di battaglia, non scoraggiarti, non rattristarti (non mettere giù il muso, non fare il viso scuro), vorrei dirti, anzi, ama la tua miseria, perché su di essa Dio esercita la sua misericordia”. Quindi la miseria cos’è per Elisabetta? E’ questo campo di combattimento dove non vinci mai, lavori, lavori per cambiare, per essere diversa, per essere migliore. Questo è un peccato grande, pretendere la perfezione da qualcuno ti getta nella tristezza e ti fa ripiegare su te stessa, questo non è che amor proprio. Non è altro che egoismo, non è altro che amore di te, di quel che tu vorresti essere e che non sei e quindi ti rodi, ti corrodi e diventi acida. Amare la propria miseria, come? Come fare ad accogliersi? Perché non può essere misericordiosa una persona? Perché non lo è con sé stessa e quando vediamo una persona dura dobbiamo pensare che non si vuol bene. Noi lo manifestiamo questo nostro non volerci bene, questa nostra intolleranza nei confronti degli altri; non è che il sintomo dell’intolleranza che abbiamo con noi stessi. Che cosa ha capito questa ragazza e quello che sta scrivendo alla propria amica che era amica di ballo …. La sorella di Elisabetta suonava il piano anche lei e si è sposata con uno che suonava il violino (anime musicali). Elisabetta amava la festa, la invitavano di casa in casa, suonava il pianoforte a partire dall’età di tredici anni. A tredici anni i giornali di Digione l’hanno elogiata per il suo virtuosismo al piano, suonava gli autori più belli e tutti la chiamavano per animare le serate danzanti in queste case, in queste famiglie o anche in pubblico. Divertiva tutti gli altri che si accorgevano che lei era altrove, che lei era unita a Dio. Questo mi sembra importante scoprire in Elisabetta, che ci fa capire che non è la struttura del Monastero ad averla portata a quell’altezza, l’ha aiutata, senz’altro ma è la vita fuori del Monastero che l’ha condotta alla luce di quella presenza grande che a partire dalla prima comunione non l’ha più abbandonata. Il grande momento della conversione di Elisabetta, di temperamento irascibile, violenta. La mamma ogni tanto le preparava la valigia per mandarla in istituto di correzione. Lei ballava e la mamma aveva cercato anche di fidanzarla; ne aveva parlato anche col parroco, ma lei aveva già fatto il voto di verginità. Un giovanotto aveva cercato di corteggiarla ma tornando a casa, alla propria mamma disse: mamma, Elisabetta non è per noi!
Elisabetta ha vissuto con i “tre” dentro il mondo. Quando entrerà in clausura capirà benissimo che tutta la struttura la aiuterà, ma l’aiuterà perché  lei, l’esperienza, l’aveva già vissuta a casa. Aveva la proibizione, dalla mamma, che ha fatto di tutto per cercare di distogliere la figlia, di andare al Carmelo. Distoglierla da questa idea che la figlia ha cominciato a coltivare dall’età di sette-otto anni quando confidò al canonico amico di famiglia, con grande stupore della mamma, che da grande sarebbe stata Religiosa. Da qui la grande realtà che il figli non sono nostri, i figli non ci appartengono, i figli appartengono a Dio. Noi siamo solo uno strumento attraverso il quale il Signore li ha messi al mondo, ma non sono nostri, non ci appartengono.
Elisabetta ci dimostra che non è necessario andare in Monastero per poter praticare, lei lo insegnava a tutti. Alla sua amica insegnava come progredire in questo rapporto con Dio che non può crescere se manca questa “misericordia” nei tuoi confronti, questo amore della tua piccolezza, della tua miseria e di quello che tu sei. Noi invece siamo innamorati di ciò che non siamo e continuiamo ad inseguire quello per cui, forse, non siamo neanche fatti. Qui sarebbe interessante vedere la vita di Leonia, l’altra sorella di Teresa di Gesù Bambino che la sua miseria non l’ha subita, l’ha scelta. Non ha subito i propri limiti, non ha subito l’essere inferiore alle sue sorelle, non si è fatto l’animo cattivo con l’essere invidiosa, gelosa di quello che le altre avevano e lei no. Non ha subito tutto questo ma lo ha scelto, ha scelto di proposito l’ultimo posto che nessuno le avrebbe mai rapito, ha scelto di trafficare l’unico talento ricevuto e di non seppellirloui è Q. I talenti noi non sappiamo come Dio li distribuisce. Alla scuola di Teresa di Gesù Bambino, sua sorella, rientrerà in Monastero, riprenderà in mano tutta la sua vita e lentamente ha deciso di rimanere sulla soglia della casa del Signore, neanche di entrare più di tanto. Quando si scegliete l’ultimo posto, si è sicuri che non  lo ruba più nessuno, mentre è più facile che  rubino il primo! Non c’è concorrenza, dice il Vangelo, “gli ultimi saranno i primi”. Elisabetta scrive l’esperienza che  ha vissuto profondamente.
Continuiamo con la lettera: “Nelle ore tristi (cioè nelle ore in cui non ami la tua miseria) va a rifugiarti nella preghiera del tuo Maestro. Sì sorellina, sulla croce egli ti vedeva, pregava per te, e questa preghiera è estremamente viva e presente davanti al Padre. E’ questa che ti salverà dalla tua miseria “. (In queste poche righe la parola “miseria” ritorna ben tre volte). “Più senti la tua miseria, più deve crescere la tua fiducia, perché Lui solo è il tuo sostegno.”

N. B.  La trascrizione non è stata rivista dal relatore.  Ringraziamo Giusy Cirillo per la trascrizione e la Comunità di Bologna per aver evidenziato con le magnifiche foto le tappe della vita di S. Elisabetta.


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