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sabato 7 ottobre 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 


      Quando Gesù raccontò questa parabola dei vignaioli malvagi che arrivano ad uccidere il figlio del proprietario della vigna, non era ancora chiaro di chi stesse parlando. Neppure gli apostoli lo capirono, ma una volta crocifisso e risuscitato il loro Maestro, capirono che parlava di se stesso e di ciò che stava per accadergli per opera delle autorità religiose e civili del suo tempo.

 Alla luce della sua risurrezione e dello Spirito Santo, compresero anche che Gesù, in comunione col Padre del cielo, aveva accettato quella condanna per il bene di tutti. Capirono che, dopo aver inviato molti profeti (rappresentati dai servi che il padrone della vigna invia ai contadini, uno dei quali lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono) Dio, rappresentato dallo stesso padrone della vigna, aveva inviato il suo stesso Figlio.

 Capirono ciò che Paolo scriverà con queste poche, ma stupende parole, ai cristiani galati come sintesi della nostra fede: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli” (Gal 4,4-5).

 Avranno rispetto per mio figlio”, si era detto il padrone della vigna. I contadini, invece, vedendo il figlio si dissero: “Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità”. Afferratolo, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.

 Quanto a Gesù, non lo uccisero perché era il Figlio di Dio, ma perché non vollero crederlo e, comunque, non vollero essere ostacolati nel controllo religioso. Quando Gesù lo disse a Caifa (il Sommo Sacerdote), questi si stracciò persino le vesti rimproverandogli di aver bestemmiato. “Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?”, domandò. E i presenti risposero che era reo di morte, gli sputarono in faccia, lo schiaffeggiarono, mentre altri lo percossero (Mt 26,65-67).

 Dopo la risurrezione i discepoli, da parte loro, non solo compresero che Gesù era il Figlio di Dio, ma che era morto perché tutti fossero salvati per mezzo di Lui e uniti a Lui come fratelli. Capirono che la pietra scartata dai costruttori e divenuta la pietra d’angolo di cui parla il Salmo 118 (117) ai vv. 22-23, è Gesù stesso e che i credenti (le altre pietre dell’edificio del Regno) stanno attorno a Lui.

Ricordandosi della parabola e di questa conclusione, Pietro, nella sua prima Lettera, ci esorta, infatti con queste parole: “Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo” (1Pt 2,4-5).

Parole, queste di Pietro, che mostrano tutta la nostra dignità (essere pietre di costruzione insieme alla pietra angolare che è lo stesso Figlio di Dio), ma anche la cura che bisogna averne. Non basta essere pietre, bisogna volerlo essere e procurare di esserlo veramente al nostro posto. Non si tratta solo di un onore, potremmo dire con altre parole, ma anche di un impegno (“offrire” – per mezzo di Gesù Cristo e seguendo il suo esempio – “sacrifici spirituali graditi a Dio”, ci scrive Pietro).

 Ciò che Gesù disse quel giorno ai giudei (“a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”), lo dice, oggi – attraverso il Vangelo – a noi. Non ci sta mettendo in guardia per spaventarci, ma perché ci rendiamo conto della nostra realtà di figli di Dio e della nostra missione come tali sulla terra.

p. Bruno Moriconi ocd