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mercoledì 1 novembre 2023

Meditiamo sul Vangelo della Festa di tutti i Santi


 

Per non sbagliarci né spaventarci davanti a queste imprevedibili beatitudini che solo i grandi Santi hanno capito e praticato senza paura, bisogna capire bene due cose. La prima è che Gesù le propone unicamente ai suoi discepoli e, la seconda, che si deve sapere cosa significa essere i suoi discepoli.  

      Una cosa, la prima, che emerge dall’ambientazione del discorso da parte dei due evangelisti, Matteo e Luca, che lo raccontano. “Vista la folla", scrive Matteo, "Gesù salì sul monte e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo, allora, la parola li ammaestrava, dicendo: […]” (Mt 5,1-12). Alzando gli occhi verso i suoi "discepoli", scrive Luca, “diceva loro ": Beati voi poveri […] (Lc 6,20-26).  

 Come si può vedere, in entrambi i testi è chiaro che gli interlocutori di Gesù non sono tutti, bensì i suoi discepoli più intimi. Sia nel racconto di Matteo che in quello di Luca, cioè, Gesù parla dopo aver visto le moltitudini ed in considerazione di esse, ma il suo insegnamento rivoluzionario, è per i dodici discepoli. In altre parole, parla a quelli che lo stanno seguendo da vicino e, una volta illuminati dallo Spirito, potranno capirlo.

 Ritorniamo, però, al testo di Matteo.

La folla, rappresentante di tutta l’umanità, è presente e costituisce indubbiamente la preoccupazione di Gesù venuto per tutti, nessuno escluso. Tuttavia, secondo l'esplicita annotazione di entrambi gli evangelisti - per il momento - il Maestro dirige il suo insegnamento solo ai discepoli. Un dettaglio è molto importante, non perché il Vangelo e, in questo caso, le beatitudini, siano solo per alcuni saggi privilegiati. La gratitudine che Gesù manifesta al Padre in un'altra occasione per avere nascosto le cose del Regno ai sapienti e agli intelligenti, per rivelarle ai semplici (Mt 11,26), verrebbe a smentirlo categoricamente. 

  La ragione non è questa, ma la seguente: Gesù insegna le beatitudini solo ai "discepoli", perché solo come tali, conoscendo realmente Gesù, sono e saranno, capaci di capire quello che Egli intende dire e ha dimostrato con il suo stesso comportamento. Non perché sono più intelligenti di altri, anzi, ma solo poiché, una volta percorsa tutta la strada dietro Gesù, capiranno perfino quel discorso eccezionale pronunciato sulla montagna.  

 Lo capiranno quando, guidati dallo Spirito, si renderanno conto che Gesù aveva accettato di morire, non per debolezza, ma per l’amore che gli chiedeva di dare la vita, per non toglierla a nessuno. Anzi, affinché tutti potessero avere una vita senza fine.

 Capiranno che il mite è Lui, Lui quello che ha pianto per tutti, Lui il perseguitato, Lui il povero… Quel giorno, neppure loro l'avevano capito e, pieni di paura, si erano rintanati, quando Gesù era stato arrestato e condannato a morte. Anzi, se non si fosse loro manifestato vivo, lo avrebbero dimenticato sicuramente, pensando di essersi sbagliati a sperare che Gesù fosse il messia. 

 Quando, tuttavia, lo videro di nuovo vivo, e lo Spirito Santo li illuminò, allora, sì, cominciarono a capire, lentamente, ogni aspetto del mistero. Capirono e diventarono anche loro miti, poveri, capaci di sopportare il dolore e perfino la persecuzione. Non per spirito di mortificazione, bensì per amore agli altri, come Gesù aveva mostrato loro.

Come veri discepoli del loro Maestro, iniziarono ad assimilare, quello che, sulla cima del monte, era sembrato loro troppo. In effetti, per capire le beatitudini, è necessario ritornare sempre a Gesù, ossia - come insegnava Teresa di Avila alle sue figlie carmelitane e a tutti - è necessario tenere lo sguardo fisso sul crocifisso.      

p. Bruno Moriconi ocd