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sabato 4 novembre 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 

Søren Kierkegaard (1813-1855) diceva di sé: "Non sono un cristiano, ma un apprendista cristiano". Ed è così che dovremmo dire tutti, poiché è proprio ciò che Gesù, riferendosi a Sé, ha dichiarato ai suoi discepoli: "Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli". E il Kierkegaard non lo diceva come potrebbe dirlo uno stupido insegnante, per umiliare i suoi studenti, ma perché si rendeva conto, con la sensibilità dei santi, che la scuola di Gesù non è mai finita.

 E questo, non tanto perché ciò che Gesù insegna sia difficile come dottrina, ma perché ciò che si deve imparare è il suo modo di vivere e di agire. Infatti, nella sua scuola non c'è il programma delle diverse materie da seguire un anno e, un altro, l'anno successivo. "Ne designò dodici (apostoli) perché stessero con lui" (Mc 3,14), scrive l'evangelista Marco, per sottolineare che solo stando con Gesù si impara ciò che si deve imparare e, eventualmente, annunciare. Teologi ed esegeti sono utili per chiarire i concetti e le implicazioni storico-filologiche dei testi, ma né la teologia né l'esegesi sono le strade che portano a Cristo come discepoli.

Per arrivare a Gesù e cominciare ad assimilare la buona notizia della sua incarnazione (l'euangélion), bisogna persistere nello stare con Lui, come insegna molto chiaramente Teresa d'Avila (1515-1582), che definisce la preghiera come uno "stare amichevole e frequente, da soli, in compagnia di Colui dal quale si sa di essere amati" (Vita 8,5).          

              Ed è proprio per questo, che Gesù chiede ai suoi discepoli, a differenza degli Scribi, di non lasciarsi chiamare né maestri né padri. Poiché uno solo è il Maestro, Lui, e uno solo è il Padre, quello celeste. Una ragione cui ne segue un'altra, ossia, quella di essere e considerarsi tutti fratelli e servi gli uni degli altri (il primo di voi sarà il vostro servo). Pena, la vergogna, poiché "chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".

       Gesù parla così perché si capisca che bisogna sostituire il modo di essere religioso tradizionale, fatto solo di pratiche devozionali, con un atteggiamento di vera fede, come disse esplicitamente, un giorno alla donna di Samaria incontrata al pozzo di Giacobbe. "Credimi, donna, le disse, “viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi [eretici samaritani] adorate ciò che non conoscete; noi [ebrei] adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l'ora (ed è questa) in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché così vuole il Padre per coloro che lo adorano" (Gv 4,21-23).

      Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù inizia parlando contro i maestri presuntuosi del suo tempo, gli scribi e i farisei che dicono, impongono carichi pesanti sulle spalle della gente, ma non muovono un dito per portarli anche loro. Parla di questi, ma il fatto che l’ammonimento sia nel Vangelo, vuol dire che il pericolo di cadere negli stessi errori rimane un rischio “clericale” di tutti i tempi. Così come, infatti, ci sono sempre stati pastori santi e generosi, allo stesso tempo non sono mancati e non mancano ecclesiastici e cristiani presuntuosi, interessati solo al potere o ad apparire qualcuno.

      Per questo, al di là dei vari titoli funzionali, l'ammonimento di Gesù (Voi, invece...) rimane prezioso. Onorando il Padre in spirito e verità, come suoi veri discepoli, infatti, l'ideale resta quello di considerarsi discepoli in continua formazione, e fratelli a servizio gli uni degli altri. Evitando, così, di essere svergognati, perché "chi si esalta sarà umiliato”, e solo “chi si umilia sarà esaltato".