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sabato 23 settembre 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica


 

“Mi conforta sapere che Dio si serve di mezzi insufficienti per compiere il Suo progetto nel mondo”, disse il cardinal Ratzinger il giorno della sua elezione a Papa, il 19 aprile 2005. “Sono solo un umile operaio nella vigna del Signore”, aggiunse.

Una disponibilità, quella del penultimo papa, che ci può aiutare a comprendere bene la simbologia degli operai della vigna di cui si legge oggi all’inizio del capitolo 20 del Vangelo di Matteo. Nonostante fosse un uomo molto colto, un cardinale di alto rango, Joseph Ratzinger si disse contento di accettare la sua elezione alla Cattedra di Pietro, come un umile operaio nella vigna del Signore, esprimendo così il desiderio di continuare ad essere solo un vero discepolo di Gesù.

Di fatto, come dimostrano i santi con la loro vita, per chi si è incontrato con Cristo e lasciato coinvolgere nel suo progetto, non esiste cosa più grande che poter servire come Suo discepolo. La vigna di cui parla la parabola è il Regno di Dio che i discepoli di Cristo portano avanti nel mondo cercando di essere, in nome di Cristo, luce, sale e lievito per tutta l’umanità.

Quando, all’imbrunire, il padrone della vigna fa chiamare i lavoratori ingaggiati lungo la giornata e ordina al sorvegliante di dare a tutti un denaro, ossia, la paga giornaliera, è normale che quelli che avevano lavorato fin dal mattino si sentissero sottovalutati. Al loro posto, chiunque di noi, vedendo che dava la stessa ricompensa a quelli che erano appena arrivati, avrebbe provato lo stesso disagio. "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo", direbbero anche molti di noi. Al di là, tuttavia, del legittimo sentimento istintivo, a protestare, quei lavoratori non avevano ragione di protestare, per almeno tre ragioni:

- Perché, più che contenti, avevano accettato di lavorare per quel tipo di pagamento. “Non hai forse concordato con me per un denaro?”, chiederà il padrone a chi aveva presentato le rimostranze dei primi.

- Perché il padrone aveva promesso la stessa paga giornaliera (un denaro) anche a tutti gli altri.

- Perché nessuno può proibire [qui non si tratta, naturalmente, del contratto sindacale con gli operai di una stessa fabbrica] al proprietario di quella vigna di dare quanto vuole a chiunque abbia accettato il suo invito. Anche a quelli dell’ultima ora.

Detto questo, è chiaro che qui non si tratta di un vero proprietario di vigne, ma del Signore, Padre di tutti, sempre disposto ad aspettarci a qualsiasi ora, come il padre della parabola di Luca 15. Quel padre, visto il figlio in lontananza che ritornava a casa, nonostante il male che gli aveva fatto, si commuove nelle viscere e si mette a corrergli incontro per abbracciarlo.

Come, dunque, aver invidia dinanzi a questo nostro Padre buono e affettuoso con tutti coloro che accedono a Lui? Alla luce di quanto Gesù ha insegnato, neppure l’ultima frase (Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi) deve agitarci. Non si tratta, infatti, né di una minaccia, né di una ingiustizia, poiché ciò che importa è sapere che tutti (primi e ultimi) siamo, se continuiamo a volerlo, nella stessa vigna del Signore.

Egli è disposto ad abbracciare ognuno, senza che sia importante quando si sia reso conto della grande opportunità che suppone lavorare nel e per il Regno di Dio. Uno giunge quando è tutta la vita che noi ci stiamo sforzando di vivere da cristiani?

Se non siamo capaci di rallegrarci che sia arrivato anche quello dell’ultima ora, non è sicuro che siamo già cristiani come si pensava. Per esserlo davvero, infatti, è necessario che i nostri sentimenti siano quelli del Padre della parabola lucana che, al figlio maggiore che protestava come i vignaioli della prima ora, dice che bisogna fare festa e rallegrarsi perché suo fratello che era perduto è infine tornato a casa.
P. Bruno Moriconi ocd