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sabato 15 luglio 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica


 

Come chiamare questa parabola? “del Seminatore”, “della Semina” o “dei quattro tipi di terreno”? Ciascuna di queste proposte avrebbe senso, ma noi lasciamo il titolo tradizionale che, tuttavia, si trova solo nel Vangelo di Matteo dove, in 13,18, iniziando la sua spiegazione, è Gesù stesso a chiamarla così.

Un commento?

Dato che questa parabola è spiegata da Gesù stesso, sarebbe assurdo e presuntuoso volerla commentare a nostra volta. Ci limiteremo allora ad alcune annotazioni che possano facilitare la stessa spiegazione cominciando col dire che, non deve sembrare strano che il seminatore sia tanto sciocco da gettare il seme senza preoccuparsi dove andrà a cadere. Essendo il terreno molto pietroso e poco profondo, in Palestina la semina precedeva, infatti l’aratura. Un modo di procedere che rende possibile che il seme cada ovunque: non solo nel buon terreno, ma anche sul sentiero, tra le pietre e le spine. In ogni caso, perfino questa possibilità concreta di coltivazione, può simbolizzare la generosità del Signore (il Seminatore), che parla a tutti, nonostante l’aridità di certi cuori (i diversi terreni).

Chiarito questo, bisogna tener presente che se Gesù termina la parabola con una esortazione (“Chi ha orecchi, ascolti"), vuol dire che la parabola, benché paia facile, non lo è. Il Signore vuol dirci che non basta capire semplicemente il racconto, ma che bisogna porsi la domanda di ciò che significa questa strana semina e, allo stesso tempo, generosa, per ognuno di noi. Non basta una buona spiegazione filologica né tanto meno la scoperta della morale della favola. Bisogna ascoltare come discepoli di Gesù, coscienti che non si finisce mai di imparare.

Per capire il senso profondo di questa parabola è allora necessario cominciare a porsi in ascolto di ciascun elemento: il seminatore, il seme, i diversi terreni, il raccolto. Bisogna mettersi lì, ai piedi di Gesù, e domandarsi ciò che ha voluto insegnarci con quella parabola, semplice e misteriosa allo stesso tempo. E non solo questo! Bisogna essere disposti ad accogliere il rimprovero che Gesù, parlando con i suoi discepoli, ci fa alla fine della stessa parabola nel racconto di Marco: “Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole?” (Mc 4,13).

Molto spesso si pensa che Gesù – sempre gentile con le folle e i poveri – parli in parabole per essere capito da tutta quella gente semplice, ma non è proprio così. Per i semplici di cuore, certamente, ma ciò che Marco sottolinea nella conclusione, deve essere chiaro: “Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa” (Mc 4,33-34).

In altre parole, parlava in parabole adattandosi alla capacità di comprendere della gente, ma in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa. Se, infatti, la salvezza di Gesù è per tutti, le sue parabole non hanno lo scopo di spiegare a chiunque la via che solo i discepoli che lo seguono da vicino potranno capire in tutta la sua novità. Il linguaggio è semplice e appartiene alla vita di tutti i giorni (la semina, il lievito, la zizzania, la luce, le pecore, eccetera), ma il suo significato è più profondo e può essere apprezzato solo alla luce della vita di Gesù che i discepoli torneranno a pensare sotto la luce dello Spirito. La sfida di Gesù (“Chi ha orecchi, ascolti”) si riferisce proprio a questo, poiché “avere orecchi” vuol dire lasciarsi illuminare dallo Spirito.

La spiegazione può essere compresa solo da chi vuole capire, non necessariamente i migliori, ma da coloro che desiderano essere discepoli di Gesù. La domanda che, allora, ognuno dovrebbe porsi potrebbe essere, per esempio, la seguente: “Che tipo di terreno sono io?”. Non è necessario produrre cento come alcuni santi eccezionali della nostra storia cristiana. Basta un sessanta o anche un trenta, se il nostro terreno non po' rendere di più. Importante è fare bene la nostra parte. Con l’aiuto di Dio (è chiaro!) e non darsi mai per arrivati.

“L’anima che ama Dio davvero”, insegna, infatti, San Giovanni della Croce, “non si lascia vincere dalla pigrizia nel fare quanto può per trovare il Figlio di Dio, suo Sposo; anzi, anche dopo aver fatto tutto il possibile, non è soddisfatta e pensa di non aver fatto niente” (Cantico spirituale, 3,1). Può darsi, insegna, da parte sua, Santa Teresa d’Avila, che dopo un primo progresso nella vita interiore vengano meno le forze e ci manchi l’animo di proseguire nella lotta, ma questo sarebbe rinunciare all’acqua viva, “di cui il Signore, parlando alla Samaritana, disse che chi ne beve non avrà più sete in eterno” (Cammino di Perfezione, 19,2).