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sabato 15 aprile 2023

Meditazione sul Vangelo della Domanica


 

Tutti conosciamo l’espressione “non essere come san Tommaso”, una espressione che si usa per uno che non crede a ciò che gli si dice, e sempre vuole prove certe. Proprio come l’apostolo Tommaso che è lì come nostro rappresentante. Gli altri discepoli gli dicevano colmi di gioia che avevano visto il Signore vivo, ma lui non voleva credere. “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”.

 Che Tommaso non creda, non è cosa buona, ma rappresenta bene i dubbi che sempre lottano anche contro la nostra fede. La nostra ragione vuole spiegare sempre tutto, persino quando, anche la maggioranza delle cose fondamentali nella vita (la nascita, la morte, l’amore), non hanno spiegazione logica e ragionevole. Ed è proprio lì, dove ci vuole portare il Vangelo, attraverso ciò che avvenne a Tommaso, otto giorni dopo la risurrezione di Gesù.

 Per la seconda volta, venne Gesù e, nonostante le porte fossero sprangate, essendo il suo corpo non più materiale, ma di una energia spirituale, entrò e, stando in mezzo a loro, disse a tutti: “Pace a voi!”. Volgendosi poi a Tommaso, che non era presente la volta precedente, gli disse: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. “Mio Signore e mio Dio!”, gli rispose subito Tommaso.

 Una professione di fede eccellente, questa di Tommaso, ma, dopo aver potuto mettere le sue dita nelle piaghe di Gesù, troppo facile (!), diremmo. Chiunque, alla presenza del risorto con le piaghe della passione, avrebbe potuto dire lo stesso, vero? Lo fa notare lo stesso Gesù a Tommaso: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati”, aggiunge, “quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Come vediamo, Gesù non ha nessuna lode per lui e la beatitudine è per noi.

 Come aveva fatto notare uno dei massimi studiosi del quarto Vangelo (Ignace de La Potterie), la traduzione adottata ultimamente (beati quelli che non hanno visto e hanno creduto) corrisponde meglio al testo originale greco, di quella al futuro (“beati quelli che crederanno senza avere visto”). Nel testo originale, infatti, il verbo che viene tradotto col futuro, è, in realtà, un passato aoristo. Ciò che, effettivamente, Gesù rimprovera a Tommaso, non è il credere solo dopo aver visto. Il rimprovero cade sul fatto di essersi chiuso e non aver dato credito (non ha creduto) alla testimonianza di chi gli diceva di aver visto vivo Gesù.

 E, sulla traduzione, c'è anche un’osservazione ancora più importante Gesù, infatti, impiegando il verbo gínomai (divenire/giungere ad essere/a farsi), non dice a Tommaso: “non essere incredulo, ma credente”, ma: “non divenire incredulo, ma [fatti] credente”.

 È importante sottolineare anche questo, perché da qui deduciamo che la fede non è qualcosa che uno ha una volta per tutte, o non l’ha (come la patente di guida), ma è una crescita dinamica nella fiducia nel Signore e nei segni di cui ci parlano i Vangeli. Una cosa è vedere, come Pietro che “vide” il sepolcro vuoto, ma più importante è “vedere e credere”, come avvenne al discepolo amato. Per quanto si riferisce a noi, credere è divenire sempre più credenti, mediante la preghiera che è un rapporto costante col Signore vivente.

 Il “vedere” è la via di accesso alla fede, che porta a “credere” ciò che, in qualche modo, abbiamo visto. Per questo, noi “i credenti”, per ripetere l’esperienza di chi, dal “vedere” Gesù, è passato a “credere” in Lui, continuiamo a leggere i Vangeli e, attraverso la preghiera, passiamo dalla contemplazione della narrazione, all’assimilazione di questa nella nostra vita. Noi non abbiamo avuto la grazia di essere testimoni oculari del passaggio del Figlio di Dio nel nostro mondo, ma, oltre ai Vangeli e al Magistero, abbiamo molti Santi, testimoni che, con la propria vita, si muovono e agiscono come credenti.

Sono essi che rendono attuali i racconti evangelici, perché quando parlano e agiscono, è evidente che, per loro, i Vangeli non sono un racconto del passato, ma del presente. In quegli uomini e donne, è chiaro, infatti, che agisce lo stesso Gesù, e che essi sono andati facendosi ogni volta più credenti. Sino a poter dire, come e con Paolo, “non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20).