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sabato 1 aprile 2023

Commento al Vangelo della Domenica delle Palme

 



Il Vangelo dell’eucarestia di oggi, Domenica delle Palme, porta di ingresso alla Settimana Santa, è il racconto della Passione (Mt 26, 14-27,66), ma il significato di questo giorno lo troviamo meglio nel Vangelo che si legge prima della Processione che introduce la celebrazione. Quest’anno si legge Mt 21,1-11, dove, insieme a Gesù, ci sono due protagonisti: la gente che acclama senza sapere che Gesù non è solo il messia atteso ma il Figlio di Dio, come lo sappiamo noi, e l’asina che lo porta. Nemmeno essa, ovviamente, sa chi sta portando, ma la sua presenza è molto importante, per capire cos’è il trionfo di Gesù.

 Nella Bibbia, l’asino è immagine della pazienza, dell’umiltà, della mansuetudine e del servizio, ed è proprio da qui che dobbiamo cominciare, per apprendere il cambiamento radicale della logica evangelica, rispetto alle aspettative umane. Una logica totalmente contraria all’immaginazione legata ai tempi messianici. Il Messia, secondo l’aspettativa corrente, doveva essere molto potente e doveva sconfiggere tutti i nemici di Israele.

 Alcuni profeti lo avevano detto che poteva non essere così, come Isaia, nel suo poema dedicato al Servo che soffre portando la colpa di tutto il popolo (Is 42-53), ma nessuno si fermava su questo, né i rabbini né, tantomeno, la gente in generale. Persino Giovanni Battista rimase attonito, quando gli riferirono che Gesù passava tutto il tempo con i poveri e i peccatori, e mandò a chiedergli se, per caso, si fosse sbagliato, a indicarlo come il Messia atteso.

 “Giovanni – racconta, effettivamente, Matteo – che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?" (Mt 11,2-3). Infatti, alla gente che andava per essere battezzata da Giovanni nel Giordano, aveva parlato chiaro: “Io vi battezzo nell'acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile” (Mt 3,11-12).

 Da parte sua, Gesù gli aveva risposto che non si era sbagliato, ma che questa era la sua missione, sebbene nemmeno Giovanni potesse capirlo. Non lo poteva perché, nonostante fosse il più grande tra i nati di donna, non faceva parte dei suoi discepoli i quali lo avrebbero capito una volta compiuto il loro cammino dietro a Lui. Sino a vederlo morire sulla croce chiedendo perdono per tutti, e capendone finalmente il significato per mezzo dello Spirito Santo. Per il momento, anche i discepoli lo seguono e lo acclamano felici che, finalmente, lo si stia riconoscendo come Messia, ma capiranno, allora, che era addirittura il Figlio di Dio e il perché avesse voluto andare incontro alla morte per tutti.

 In realtà, come noi ben sappiamo, l’entrata di Gesù in Gerusalemme che celebriamo la Domenica delle Palme, è l’ingresso nel mistero della salvezza attraverso la consegna totale di sé da parte del Figlio di Dio, fatto uno di noi. Il profeta Zaccaria lo aveva detto: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina” (9,9). “Umiliò se stesso – scriverà da parte sua, Paolo – facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,8).

 Ed è proprio per questo che Gesù, per entrare nella città santa, ha bisogno di un’asina. “Andate”, disse ai suoi discepoli, una volta giunto al villaggio di Betfage il monte degli Olivi, “nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un'asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: "Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”.

 Una parola (il Signore) e un’espressione verbale (ne ha bisogno) che, in questa dichiarazione di Gesù, sono particolarmente importanti. La prima, perché, strano ma vero, è l’unica volta in cui Gesù parla di sé, definendosi “il Signore”. Presentandosi, dunque, come Dio che, allo stesso tempo, ci sta salvando sul dorso di un asino. L’espressione verbale (ne ha bisogno), con la quale si riferisce all’asina e al puledro, perché indica la “necessaria” connessione con questa missione. Quella del re che “giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina” (Zac 9,9).

 Per questo Gesù vuole entrare così. Il popolo capisce quel che può, ma noi sappiamo bene il perché di questo ingresso, solenne e, allo stesso tempo, umile. Gli stessi discepoli che pongono i loro mantelli sull’asina, e la gente che stende le cappe sul selciato, pensano solo ad onorare il possibile messia, ma per noi questo gesto (porre i nostri mantelli sull’asina che porta il Signore e le nostre cappe sulla strada dove Lui passa) esprime la nostra gratitudine e la volontà di aderire, col suo aiuto, al modo di donarsi del Signore.

 Il grido “Osanna!” che qui significa acclamazione gioiosa al passaggio di Gesù (Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!), nel suo significato letterale vuol dire: “Salvaci Signore!”. Un’implorazione molto appropriata e opportuna anche letta così. Se, infatti, è Lui solo che ci salva, è altrettanto vero che, da parte nostra, dobbiamo desiderarlo.