Liberare il futuro
imprigionato
Nel nostro
vecchio mondo sempre più spesso ci interroghiamo sul futuro: quale futuro per
la democrazia? Quale futuro per l’economia? Quale futuro per la famiglia?
Dietro ciascuna di queste domande c’è l’esperienza di un presente in crisi
(crisi della democrazia, crisi dell’economia, crisi della famiglia) e la
difficoltà di pensare un futuro in continuità con questo presente. Come potrà
essere dunque il futuro di tutte queste realtà essenziali per la nostra vita e
la nostra società, se la forma in cui le abbiamo sperimentate finora sembra
ormai incapace di interpretare la realtà, di rispondere ai suoi cambiamenti, di
assumerla per guidarla e organizzarla? Interrogarsi sul futuro della democrazia
o della famiglia non significa metterlo in dubbio, quasi si temesse che la
democrazia o la famiglia stiano per scomparire. Interrogarsi sul futuro non
significa necessariamente aprire scenari apocalittici o fantascientifici. Si
tratta, piuttosto, non solo di prendere atto del momento storico che stiamo
vivendo, nel quale i segnali di crisi si moltiplicano, ma anche di lasciarsi
provocare da esso in vista di un cambiamento.
Ogni crisi,
infatti, ci costringe a fare una seria revisione di vita, un discernimento
accurato di ciò che siamo e di ciò che stiamo facendo. Non tutto potrà
sopravvivere alla crisi. Come in un naufragio, qualcosa dovrà essere
abbandonata, buttata in mare, come un peso inutile che ostacola le operazioni
di salvataggio. O, meno drammaticamente, come accade in ogni trasloco, siamo
obbligati a fare delle scelte, non tutto vale la pena di essere trasferito
altrove, qualche cosa passa con il luogo in cui è stata conservata per tanto
tempo solo per pigrizia o per scrupolo eccessivo. Nel nostro traslocarci dal
presente al futuro, che cosa porteremo con noi? Che cosa lasceremo?
Ma in
realtà la domanda davvero decisiva è un’altra: con che cosa costruiremo il
futuro?per leggere il testo integrale della conferenza clicca qui